approfondimento di Massimo Tommaso Goffredo e Vincenzo Meleca
Estratto dal n. 30/2017 di Diritto & Pratica del Lavoro (Settimanale IPSOA)
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“Aspetto essenziale del rapporto di lavoro subordinato è il sinallagma “prestazione lavorativa-retribuzione”.
Indissolubilmente legato al concetto di prestazione lavorativa è poi l’orario di lavoro, definito dall’art. 1, D.Lgs. n. 66/2003 come “qualsiasi periodo in cui il lavoratore sia al lavoro, a disposizione del datore di lavoro e nell’esercizio della sua attività o delle sue funzioni”.
Vi sono però alcune fasi del rapporto di lavoro in cui non è facile comprendere se le tre condizioni indicate dal legislatore (essere al lavoro, essere a disposizione del datore di lavoro ed essere nell’esercizio dell’attività lavorativa o delle funzioni) sono tutte soddisfatte contemporaneamente.
Nel tempo si è così determinato un notevole contenzioso giudiziario. Con le note che seguono cercheremo di fare il punto della situazione circa i seguenti aspetti particolari: il tempo di vestizione (c.d. “tempo tuta”); il tempo di attesa; il tempo di viaggio (in trasferta e dal domicilio del lavoratore al posto di lavoro); il tempo di reperibilità; ed, infine, i tempi relativi ad alcune particolari tipologie di pause.
Il tempo di vestizione
Tenendo sempre ben presenti le tre condizioni sopra indicate affinché il tempo messo a disposizione del datore di lavoro dal lavoratore sia considerato orario di lavoro e come tale retribuito, ad un primo esame sembrerebbe che il tempo dedicato dal lavoratore ad indossare gli indumenti di lavoro (come, ad esempio: tute, abiti, divise, camici, dispositivi di protezione individuale) non possa essere fatto rientrare nel concetto di orario di lavoro, in quanto il lavoratore stesso non starebbe prestando alcuna attività lavorativa..”….continua la lettura
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Source: Dottrina del Lavoro