L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 89/E dell’11 aprile 2024, risponde ad un quesito in merito al regime fiscale applicabile, ai fini Irpef, per i beni aziendali offerti in omaggio ai propri dipendenti.
Questo il parere fornito dall’Agenzia delle Entrate.
L’articolo 51, comma 1, del Tuir dispone che «Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro».
Tale disposizione sancisce, quale principio base, l’onnicomprensività del reddito di lavoro dipendente, ovvero l’assoggettamento a tassazione, in generale, di tutto ciò che il lavoratore dipendente percepisce in relazione al rapporto di lavoro, salvo le tassative deroghe di esenzione contenute nei successivi commi del medesimo articolo 51.
L’ampia locuzione legislativa ricomprende, oltre alla retribuzione corrisposta in denaro, anche quei ”vantaggi economici” che i lavoratori subordinati possono conseguire ad integrazione della stessa. Trattasi, in particolare, di compensi in natura, consistenti in opere, servizi, prestazioni e beni, anche prodotti dallo stesso datore di lavoro.
In relazione alla determinazione del reddito, il medesimo articolo 51, al comma 3, prevede che «Ai fini della determinazione in denaro dei valori di cui al comma 1 […] si applicano le disposizioni relative alla determinazione del valore normale dei beni e dei servizi contenute nell’articolo 9. Il valore normale dei generi in natura prodotti dall’azienda e ceduti ai dipendenti è determinato in misura pari al prezzo mediamente praticato dalla stessa azienda nelle cessioni al grossista. Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a euro 258,23; se il predetto valore superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito».
Sul punto, appare utile rilevare come il legislatore, prevedendo la non concorrenza al reddito dei beni ceduti e dei servizi prestati gratuitamente nei confronti dei dipendenti di importo non superiore a euro 258,23, abbia considerato la possibilità che nel rapporto di lavoro, il datore eroghi beni e servizi senza corrispettivo a vantaggio dei dipendenti, riconoscendone la non concorrenza alla formazione del reddito di lavoro dipendente entro un determinato limite di importo.
Al riguardo, si fa presente, per completezza, che l’articolo 1, comma 16, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (legge di bilancio 2024), limitatamente al periodo d’imposta 2024, ha stabilito che, «in deroga a quanto previsto dall’articolo 51, comma 3, prima parte del terzo periodo, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, non concorrono a formare il reddito, entro il limite complessivo di 1.000 euro, il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché le somme erogate o rimborsate ai medesimi lavoratori dai datori di lavoro per il pagamento delle utenze domestiche del servizio idrico integrato, dell’energia elettrica e del gas naturale, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. Il limite di cui al primo periodo è elevato a 2.000 euro per i lavoratori dipendenti con figli, compresi i figli nati fuori del matrimonio riconosciuti e i figli adottivi o affidati, che si trovano nelle condizioni previste dall’articolo 12, comma 2, del citato testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. I datori di lavoro provvedono all’attuazione del presente comma previa informativa alle rappresentanze sindacali unitarie laddove presenti» (cfr. circolare 7 marzo 2024, n. 5/ E, paragrafo 1.1).
Il comma 3 del richiamato articolo 9 del Tuir prevede che per «Per valore normale […] si intende il prezzo o corrispettivo mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza e al medesimo stadio di commercializzazione, nel tempo e nel luogo in cui i beni o servizi sono stati acquisiti o prestati, e, in mancanza, nel tempo e nel luogo più prossimi. Per la determinazione del valore normale si fa riferimento, in quanto possibile, ai listini o alle tariffe del soggetto che ha fornito i beni o i servizi e, in mancanza, alle mercuriali e ai listini delle camere di commercio e alle tariffe professionali, tenendo conto degli sconti d’uso».
Al riguardo, nella circolare del Ministero delle Finanze 23 dicembre 1997, n. 326 è stato precisato che il reddito da assoggettare a tassazione è pari al valore normale soltanto se il bene è ceduto o il servizio è prestato gratuitamente (ciò vale anche nel caso dei beni prodotti dall’azienda e ceduti gratuitamente al dipendente), se, invece, per la cessione del bene (anche in caso di bene prodotto dall’azienda e ceduto al dipendente) o la prestazione del servizio il dipendente corrisponde delle somme (con il sistema del versamento o della trattenuta), è necessario determinare il valore da assoggettare a tassazione sottraendo tali somme dal valore normale del bene o del servizio. Con la risoluzione 9 settembre 2003, n. 178/E (avente ad oggetto una polizza assicurativa stipulata dal datore di lavoro, diretta a garantire la copertura delle perdite di carattere patrimoniale che gli amministratori e i dipendenti dello stesso dovessero subire in seguito ad azioni di responsabilità civile intentate, nei loro confronti o direttamente nei confronti della società, da soggetti terzi lesi da atti compiuti dagli stessi nell’esercizio di loro incarichi e funzioni), è stato precisato che non concorrono alla formazione della base imponibile del dipendente:
- le «somme che non costituiscono un arricchimento per il lavoratore (è il caso, ad esempio, degli indennizzi ricevuti a mero titolo di reintegrazione patrimoniale»);
- le «erogazioni effettuate per un esclusivo interesse del datore di lavoro».
Con la risoluzione 29 ottobre 2003, n. 202/E è stato chiarito che nell’ipotesi in cui un’azienda intenda offrire ai propri dipendenti la possibilità di acquistare autovetture di sua produzione ad un prezzo di favore rispetto a quello di mercato, abbinata all’assegnazione gratuita di un premio (televisore, lettore dvd, ecc.), non sussiste alcuno ”sconto in denaro” fiscalmente rilevante se il prezzo pagato dal dipendente per l’acquisto dell’autovettura risulta superiore rispetto al prezzo medio praticato al grossista e, quindi «è solo il bene offerto in omaggio a configurarsi quale reddito per il dipendente che acquista l’autovettura. Il valore del premio assegnato concorre, pertanto, autonomamente ed interamente quale bene in natura, ai sensi dell’art. 48 del TUIR, a formare il reddito di lavoro dipendente e deve essere assoggettato a ritenuta alla fonte ai sensi dell’art. 23 del DPR n. 600 del 1973».
In base alla lettera del citato comma 3 dell’articolo 9 del Tuir che fa espresso riferimento agli ”sconti d’uso”, con la risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E è stato precisato che per i beni e servizi offerti dal datore di lavoro ai dipendenti, il loro valore normale di riferimento possa essere costituito dal prezzo scontato che il fornitore pratica sulla base di apposite convenzioni ricorrenti nella prassi commerciale, compresa l’eventuale convenzione stipulata con il datore di lavoro.
Nel caso in cui il datore di lavoro commercializza e vende ai propri dipendenti beni o servizi ad un prezzo scontato, l’eventuale rilevanza reddituale deve essere considerata in base alle sopra esposte regole ordinarie che governano la categoria reddituale in esame, ovvero in ragione del principio di onnicomprensività enunciato dall’articolo 51, comma 1, del Tuir (cfr. anche risoluzione 29 maggio 2009, n. 137/E).
Inoltre, con circolare 20 dicembre 2013, n. 37/E, paragrafo 1.7, è stato affermato che «I valori corrispondenti ai beni assegnati ai calciatori professionisti costituiscono, in genere, reddito di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 51, comma 1, del TUIR. Nella particolare ipotesi in cui il calciatore professionista abbia un obbligo contrattuale di utilizzare determinati beni, ricevuti in esecuzione di un contratto stipulato tra la società sportiva e lo sponsor per cui la prima consegue un ricavo da detto utilizzo, e sussistano l’obbligo di restituzione dei beni e la previsione di una penale a carico della società e del calciatore professionista in relazione a un eventuale inadempimento, si ritiene prevalente l’interesse del datore di lavoro.
Quanto precede non vale nelle diverse ipotesi in cui non sussista un vero e proprio obbligo di utilizzo, ad esempio perché non è prevista una penale per il calciatore e la società, oppure l’obbligo di utilizzo sia limitato solo a determinate occasioni.
Costituisce comunque fringe benefit il bene non restituito al termine del contratto, da determinare in base al valore normale in quel momento».
In base alla citata circolare n. 37/E del 2013, pertanto, in via generale, i beni assegnati ai dipendenti costituiscono reddito di lavoro dipendente e solo nella particolare ipotesi in cui il dipendente abbia un obbligo contrattuale di utilizzo del bene e successiva restituzione dello stesso, si può considerare prevalente l’interesse del datore di lavoro e, quindi, escludere il valore dei predetti beni dalla tassazione in capo al dipendente.
Nel caso di specie, secondo quanto rappresentato, nell’ambito di un’articolata serie di benefit previsti dalla Partner Guide, l’Istante ”omaggia” mensilmente i propri dipendenti di un sacchetto di caffè selezionato e di una bevanda gratuita al giorno, da consumare durante la pausa al lavoro, evidenziando che scopo dell’offerta è diffondere la conoscenza approfondita dei prodotti e la capacità dei dipendenti di trasmettere l’eccellenza degli stessi alla clientela, nell’ambito della strategia aziendale.
L’Istante rappresenta, inoltre, che «potrebbe capitare che la Società istante omaggi i Partners con alcuni beni che hanno natura di merchandise (es.: tazze con il logo aziendale, spillette)» ed afferma che «in questi casi, tali beni sono appositamente caratterizzati per rappresentare l’identità aziendale (ad esempio, attraverso l’utilizzo del logo o di esclusivi elementi di design) e il motivo principale per la concessione di tali beni è la volontà che i Partner diffondano l’immagine aziendale al di fuori delle mura della [caffetteria] con finalità di business, di marketing e di promozione e diffusione dell’immagine aziendale».
Al riguardo, occorre rilevare che i descritti beni sono offerti, rispettivamente, con cadenza mensile e giornaliera, a tutti i dipendenti in organico a prescindere dalle vendite effettuate e dalla prestazione lavorativa svolta. I dipendenti, inoltre, potrebbero utilizzare i predetti omaggi per soddisfare esigenze personali o potrebbero anche decidere di non fruirne, stante l’assenza di obblighi contrattuali specifici.
Al riguardo, occorre considerare che gli omaggi in questione, per quanto ”utili” alla strategia aziendale, in concreto, soddisfano un’esigenza propria del singolo lavoratore (ad es. prendere un caffè al bisogno) e rappresentano, comunque, un arricchimento del lavoratore (ad es. i sacchetti di caffè e i prodotti di merchandising) e, pertanto, non possono considerarsi erogati nell’esclusivo interesse del datore di lavoro.
Sulla base di quanto rappresentato, si ritiene che, nel caso in esame, qualora il valore dei beni assegnati dall’Istante ai propri dipendenti, superi il limite previsto dalla prima parte del terzo periodo del comma 3 dell’articolo 51 del Tuir e successive integrazioni, lo stesso costituisca reddito di lavoro dipendente concorrendo alla relativa formazione quale bene in natura determinato ai sensi del comma 3 dell’articolo 9 del Tuir (cfr. risoluzione 29 ottobre 2003, n. 202/E).
Fonte: Agenzia Entrate
Source: Dottrina del Lavoro