a cura di Roberto Camera
Una finta intervista sulle dimissioni online, per capire se sono effettivamente utili per combattere le c.d. dimissioni “in bianco”.
Quale è l’obiettivo della procedura telematica per le dimissioni, prevista dal decreto sulle semplificazioni?
Combattere le dimissioni “in bianco”.
Ma cosa sono le dimissioni “in bianco”?
Sono quel malcostume di pochi datori di lavoro che all’atto dell’assunzione, cioè nel momento più debole del lavoratore/trice, fanno firmare a quest’ultimo un foglio in bianco, per l’appunto, che potranno utilizzare, magari a distanza di anni, facendolo passare per dimissioni volontarie.
Ma questi datori di lavoro senza scrupoli, potrebbero utilizzare questo sistema criminale anche con le lavoratrici che sono incinte oppure con quelle che sono diventate madri da poco?
No, per queste lavoratrici esiste già una tutela dal 2001, disciplinata dal Testo Unico sulla maternità (D.L.vo n. 151/2001), che prevede la convalida delle dimissioni presso l’ispettorato del lavoro.
Allora questi “fogli in bianco” potrebbero essere utilizzati per fingere delle dimissioni da parte di lavoratrici che si sono sposate da poco e per le quali ci si potrebbe aspettare una prossima gravidanza?
No, per queste lavoratrici c’è già una protezione, disciplinata da una legge del 1963 (L. 7/1963) che, così come per le lavoratrici in gravidanza, prevede una previa convalida delle dimissioni presso l’ispettorato del lavoro. L’assurdo è che, ad oggi, queste lavoratrici dovranno andare a convalidare le dimissioni fatte online e cioè con una procedura che già le assicura contro le dimissioni “in bianco”.
Ma allora nei casi esclusi dalle due norme di tutela, quanti casi ci sono l’anno di “dimissioni in bianco”?
Non è un dato conosciuto, potremmo parlare di poche decine di casi in tutta Italia. Anche perché, nel caso di utilizzo di questi fogli in bianco da parte del datore di lavoro, il lavoratore/trice normalmente si attiva, denunciando l’azienda presso l’ispettorato del lavoro.
Mi sembra di capire che con questa procedura telematica si sia voluto mettere in piedi una soluzione abnorme per un problema non così rilevante. A questo punto, quale potrebbe essere una soluzione semplice per risolvere anche questi pochi casi?
Per evitare le c.d. dimissioni “in bianco” deve essere possibile identificare univocamente il lavoratore/trice, quale soggetto che ha compilato il modello delle dimissioni e, soprattutto, verificare la data di compilazione. Questa, a mio avviso, la procedura più idonea:
- il lavoratore redige la lettera di dimissioni e si rivolge ad un soggetto abilitato per ricevere un timbro che attesti la data e l’identità del lavoratore/trice. I soggetti abilitati devono essere unicamente soggetti pubblici come i Centri per l’impiego, gli ispettorati del lavoro e gli uffici anagrafe dei Comuni. La lettera (testo, firma autografa del lavoratore/trice, timbro e data del soggetto pubblico), così composta, rispetterebbe pienamente i canoni di verifica sulla genuinità delle dimissioni presentate.
Non occorre, a mio avviso, alcuna procedura telematica, troppo complicata e di difficile gestione da parte del lavoratore/trice, sia per quanto riguarda la modalità di effettuazione (computer, accesso internet e conoscenze informatiche) che per la tempistica (vedasi richiesta Pin Inps o appuntamento presso soggetto abilitato). Inoltre, sta diventando un costo, non solo per i lavoratori/trici (ci sono casi di soggetti abilitati che richiedono un prezzo per effettuare la procedura) ma anche per i datori di lavoro, anche perché il legislatore si è dimenticato di specificare cosa deve fare l’azienda nel caso in cui il lavoratore non proceda con la comunicazione telematica, non rendendo efficace, così, le dimissioni stesse.
Source: Dottrina del Lavoro